Mostra Lego e l’ego – La Spezia

Mostra Lego e l’ego – La Spezia

Filippo Lubrano – Valerio Cremolini – Marco Pece

Presentazione Valerio P. Cremolini

Con piacere ho condiviso con l’amico Filippo Lubrano l’originalissima mostra di Marco Pece-Udronotto, artista torinese conosciuto di recente, la cui creatività ritengo interessante e degna di attenzione. La sua personale è la proposta n.50 censita dal piccolo e prezioso spazio del foyer del Centro Allende ed è la prima volta che i Lego sono protagonisti alla Spezia di una rassegna d’arte.
Non scopro nulla nell’affermare che la diversità di materiali utilizzati dagli artisti nel secolo scorso è un aspetto che caratterizza massicciamente l’arte contemporanea e l’impiego dei più inattesi materiali ha sconcertato fin dai primi decenni del 900. Oggi ci siamo abituati ed è certamente minore la nostra sorpresa dinanzi alle più eccentriche installazioni proposte nelle più importanti kermesse internazionali. Non vorrei semplificare, rivolgendo lo sguardo ad anni passati nel richiamare, ad esempio, le irriverenti proposte di Marcel Duchamp, le stranote scatolette di Piero Manzoni, il down, esposto da Gino De Dominicis alla Biennale di Venezia del 1972.
L’impiego di materiali non convenzionali ha innegabilmente sortito l’effetto di caricare di espressività l’opera d’arte, il cui processo interpretativo si è enormemente dilatato. Vittorio Sgarbi, premettendo che “Duchamp ha sfidato ogni significato dell’arte, ogni certezza”, asserisce che “una spiegazione vale l’altra e gran parte della critica appare inspiegabile”. Le pagine della ricerca artistica degli anni post-bellici censiscono innumerevoli opere, nelle quali i materiali utilizzati hanno una ineludibile valenza simbolica. Sono lavori che quando non hanno scandalizzato, quasi sempre hanno stupito.
La creatività artistica, per rapidi accenni, si è giovata, tra l’altro, di sacchi logorati, feltri, fibre vetrose, plexiglas, ferri arrugginiti, di acqua, plastica e catrame, di tubi al neon e televisori, di alberi (Beuys), cavalli (Kounellis), caramelle (Felix Gonzales-Torres ), sangue (Marc Quinn), cetacei (Damien Hirst); di un letto sfatto (Tracey Emin), del corpo umano (Marina Abramovic, Gina Pane,Vanessa Beecroft), di manichini (Cattelan). Il tutto mirato all’affermazione di una sintonia tra l’opera e lo spettatore, su cui l’opera esercita silenziose seduzioni.
Con Marco Pece-Udronotto c’è posto anche per i Lego e non è per nulla banale la dichiarazione dell’artista di unire alla sua elaborazione, che a prima vista appare un gioco alla portata di tutti, una funzione lodevolmente divulgativa delle opere di grandi maestri. In particolare l’artista ha legato la sua operosità a Leonardo, Raffaello, Van Eyk, Vermeer, Magritte, Hopper, Warhol, Haring, ecc.
Il nome Lego, attribuito al mattoncino danese, sta per “Leg Godt”, cioè “gioca bene”. La parola Lego, allude all’azione del legare e dell’unire. Unire per costruire e ricostruire. Questo è il comune esercizio svolto quotidianamente da milioni di bambini tutto il mondo ed anche da chi bambino non lo è più. Nel 2000 il Lego, che ha poco più di mezzo secolo di vita, è stato dichiarato, anche per gli aspetti educativi, gioco del secolo e l’inventore Ole Kirk Christiansen è davvero passato alla storia.
Pece non è il solo ad utilizzarli. Anche un artista romano, Stefano Bolcato, ne fa uso per rielaborare fatti di cronaca. Inoltre, l’ho appreso leggendo un servizio su “Avvenire” del 5 ottobre 2006, che avevo conservato, quasi presagendo che un giorno mi sarebbe stato utile, il californiano Brendan Powell Smith, “ha ricostruito in oltre 4000 episodi la Bibbia”, peraltro con valutazioni di segno opposto, cioè per alcuni è un geniale, per altri è un blasfemo.
Che cosa spinge Udronotto, ora lo chiamo così ritenendo che sia il doppio di Marco Pece, a replicare i dipinti di famosissimi artisti? Certamente il desiderio di sentirsi partecipe di quelle opere tanto importanti, di viverle direttamente nel ricostruirle diligentemente nella loro tipica espressività e nei puntuali dettagli compositivi (ambiente, abbigliamento, oggetti, colori, ecc.). Non mi pare ci sia abuso di ironia né il tentativo di ridimensionare il valore di quelle opere; se mai, esattamente l’opposto.
L’artista Stefano Bolcato, poc’anzi citato, sostiene che quello che lo attrae è la possibilità di giocare nella rappresentazione e ritengo che anche Udronotto non escluda dalla sua esigente operatività, che impone un occhio vigilissimo nel carpire i particolari dell’opera, una buona dose di divertimento.
Il procedimento non finisce qui. Alla ricostruzione del dipinto segue la sua fotografia, rielaborata successivamente al computer. L’opera nella sua materialità svanisce (ed è un peccato) e la breve durata diventa una peculiarità dei lavori eseguiti con i Lego, che perseguono la loro immediata riconoscibilità. Come nella performance, è la fotografia che lascia la concreta testimonianza di questa singolare operatività.
Il repertorio di Udronotto comprende la ricostruzione di dipinti, fotografie, scene di films (Casablanca, Vacanze romane, Il laureato, Blues Brothers); è recente lo straordinario ritratto di Barak Obama, pubblicato nel dicembre scorso sul Time. Altrettanto eccellente è l’omaggio che Udronotto ha dedicato alla Spezia, con la riproposizione della sua modernissima cattedrale.
Merita considerazione il testo di Filippo Lubrano, intelligentemente giocato sull’ambigua assonanza fra Lego e l’Ego, termine della psicoanalisi che definisce l’Io, secondo Freud uno dei tre aspetti (gli altri sono l’Es e il Super-Ego) della psiche umana. Tema che Lubrano affronta sin dall’inizio del suo contributo affermando che “l’Ego è costruzione quotidiana, lunga, faticosa, ma anche divertente”, una lenta costruzione che parte dalla nascita della persona e conduce gradualmente alla conquista della personalità. Nei Lego di Udronotto c’è l’Ego di Udronotto, di cui non possiedo elementi per esplicitarlo. Credo, comunque, di poter affermare che la sua “Little Art”, caratterizzata dal paziente e meticoloso mettere insieme secondo una precisa logica progettuale, ci consegni un artista molto libero e, a mio avviso, ottimista.
Lo sguardo di Marco Pece-Udronotto è proteso a possedere la grande arte del passato e del presente, rifiutando artificiosi intellettualismi, per traguardare una libertà stilistica, che non contraddice il suo temperamento, che si esprime con l’ineludibile vivacità creativa fusa tra i variopinti mattoncini danesi.
Valerio P.Cremolini